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27/08/2025 18:23
Due mesi dopo l’omicidio di Giulia Tramontano, quando Alessandro Impagnatiello era già in carcere, la sua auto, una Volkswagen T-Roc usata per trasportare il corpo della giovane donna, venne venduta. Non a un estraneo, ma alla moglie del fratello Omar. Un passaggio di proprietà che oggi il tribunale civile di Milano definisce come una vera e propria strategia: l’obiettivo era far apparire l’ex barman senza patrimoni e impedirgli di affrontare i risarcimenti dovuti alla famiglia della vittima.
Il giudice Francesco Pipicelli ha stabilito che Laura Ciuladaite, la cognata, debba versare 25 mila euro ai genitori e ai fratelli di Giulia: 19 mila come indennizzo e circa 5 mila per spese legali. Nelle motivazioni, il tribunale sottolinea come la vendita, perfezionata nell’agosto 2023 tramite procura speciale firmata da Impagnatiello dal carcere, fosse “finalizzata esclusivamente a sottrarre il bene ai creditori”. La vicenda si complica ancora di più nell’ottobre 2024, quando Omar e la moglie denunciano anche il furto della stessa auto. L’assicurazione rifiuta di risarcire, evidenziando incongruenze e danni non coerenti con quanto dichiarato.
Per la famiglia Tramontano, la battaglia non era solo economica. Quell’auto, sulla quale Giulia era stata nascosta e trasportata, non poteva continuare a circolare come se nulla fosse. La Procura aveva sequestrato solo il pianale posteriore, dove erano state trovate tracce di sangue. Così la famiglia decide di agire in sede civile, ottenendo almeno un frammento di giustizia.
Impagnatiello, condannato all’ergastolo anche in appello, deve in totale 200 mila euro a ciascun genitore di Giulia e 150 mila al fratello e alla sorella. Ma al momento risulta ufficialmente senza patrimoni.
Alla freddezza degli atti giudiziari si aggiunge la rabbia della sorella di Giulia, Chiara. Su Instagram ha pubblicato una storia con i titoli dei giornali e una frase diretta ai giudici: “Questa è la feccia umana che vorrebbe accedere alla giustizia riparativa. Famiglia di assassini ignoranti”. Parole che raccontano meglio di qualsiasi documento la rabbia di chi, a oltre due anni dal femminicidio, continua a fare i conti con una ferita che non smetterà mai di rimarginarsi.