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09/07/2025 17:38
È una scena quasi surreale quella avvenuta davanti alla questura di via Fatebenefratelli, nel cuore di Milano. Una giornata afosa, un gruppo di giornalisti accalcati sotto il sole in attesa di aggiornamenti sull’infinita vicenda giudiziaria dell’omicidio di Garlasco. Poi, all’improvviso, spunta un volto sconosciuto. Camicia chiara, maniche arrotolate, occhi azzurri e fare disinvolto. Si avvicina ai cronisti, curioso, un pò troppo per passare inosservato.

«Ma voi venite sempre qui?», chiede con tono amichevole. Poi, quasi come se nulla fosse, sgancia la domanda che fa drizzare le antenne: «Siete venuti anche per la storia del figlio di La Russa? Sai… è un mio amico».

In realtà era proprio lui: Leonardo Apache La Russa, figlio del presidente del Senato Ignazio La Russa. Fingendosi un semplice curioso o, forse, un giornalista alle prime armi, Leonardo si è mescolato alla stampa per “tastare il terreno”, capire cosa si dicesse in giro sulla sua vicenda giudiziaria, cercare informazioni, forse rassicurazioni. Ma la sua recita dura poco.

Mentre discute con i giornalisti, mostra un’incertezza sospetta: «Non ho ancora capito bene com’è andata quella storia», dice parlando del caso che lo vede indagato per revenge porn, per il quale la Procura ha chiuso le indagini chiedendo il rinvio a giudizio. Per l’accusa di violenza sessuale, invece, è stata chiesta l’archiviazione, ma la parte lesa si è opposta.

I cronisti, insospettiti da quel misto di ingenuità e insistenza, decidono di approfondire. Scattano una foto. Google Lens fa il resto: il volto viene riconosciuto all’istante. È proprio lui, Leonardo Apache La Russa, travestito da passante, a parlare con i giornalisti della “sua” storia.

Smascherato, il giovane non perde la calma. «Ma come avete fatto a scoprirmi?», chiede con un sorriso, quasi divertito, consapevole forse che la messinscena era troppo fragile per reggere a lungo.

Un episodio singolare, che intreccia il caso giudiziario a un’improvvisata mossa di controinformazione “in incognito”. E che, in un certo senso, racconta molto più di un’intervista ufficiale: della pressione pubblica, della curiosità morbosa, della volontà — forse disperata — di controllare il racconto che circola là fuori. Anche se per farlo bisogna fingersi qualcun altro.