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22/04/2025 17:19
La giustizia riparativa sta guadagnando terreno. Sempre più persone scelgono la via del dialogo e del confronto umano per affrontare le conseguenze di un reato. Dal 2024 a oggi sono stati 128 i casi in cui, nel capoluogo lombardo, mediatori specializzati hanno messo a confronto autore e vittima, con l’obiettivo di ricucire, almeno in parte, lo strappo causato da un crimine. Numeri che testimoniano un crescente interesse verso un modello di giustizia più umano, centrato non solo sulla punizione ma anche sul riconoscimento del danno e sulla responsabilità personale.

Eppure, mentre questa nuova visione della giustizia cresce, la cronaca nera riporta a galla le paure più profonde: quella dell’insicurezza, del “recidivo”, del pericolo che ritorna.

Due episodi recenti accaduti tra Milano e Brescia sollevano domande scomode, ma inevitabili.

Venerdì 18 aprile, in zona Corvetto, una studentessa universitaria della IULM è stata aggredita alla fermata del tram. Un uomo l’ha afferrata e spinta contro la pensilina, mimando atti sessuali in modo esplicito. Solo l’intervento casuale di alcuni automobilisti ha evitato il peggio. L’aggressore? Un cittadino marocchino di 25 anni, già noto alle forze dell’ordine, appena uscito di prigione dopo una condanna per spaccio. Senza fissa dimora, è ora ricercato.

Pochi giorni prima, a Brescia, un altro caso scioccante: un 49enne di origini montenegrine, già condannato a 19 anni per omicidio e tentato omicidio, ha aggredito una barista di 62 anni colpendola al collo con un punteruolo da muratore. L’uomo era uscito dal carcere da poco. Il gesto è stato rapido, brutale. Per fortuna, la donna non è in pericolo di vita.

Questi due episodi sembrano gridare in faccia alla società una domanda che brucia: è davvero possibile il reinserimento?

Nel frattempo, mentre Milano scommette sul dialogo e sulla mediazione, cittadini e vittime chiedono anche protezione, sicurezza, prevenzione.