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05/11/2025 19:06
Si rafforza l’ipotesi della premeditazione dietro al femminicidio di Pamela Genini, la 29enne uccisa il 14 ottobre con oltre trenta coltellate dall’ex compagno Gianluca Soncin. Un delitto brutale, consumato nell’appartamento di via Iglesias, a Gorla, dove viveva la giovane. Per gli inquirenti non è stato un gesto d’impeto ma un agguato pianificato nei minimi dettagli.
Dalle indagini coordinate dalla procuratrice aggiunta Letizia Mannella e dalla pm Alessia Menegazzo emerge che l’uomo avrebbe fatto una copia delle chiavi dell’abitazione circa una settimana prima dell’omicidio. A confermarlo, il titolare di una ferramenta a pochi chilometri dal palazzo: Soncin - come si legge nel decreto di fermo - sarebbe andato lì approfittando di un fine settimana in cui Pamela era fuori città, dai genitori in provincia di Bergamo.
Un particolare che, unito al racconto dell’amico con cui la donna era al telefono nel momento dell’aggressione, rafforza la teoria che l’ex avesse pianificato ogni cosa. La ragazza temeva che lui avesse ancora accesso a casa sua: gli aveva confidato che, fingendosi malato per restare nell’appartamento, avrebbe potuto duplicare le chiavi.
Gli accertamenti tecnici hanno confermato che si trattava di una porta blindata: Soncin avrebbe potuto ottenere un duplicato senza la matrice, riconosciuta dal ferramenta. Elementi che consolidano l’aggravante della premeditazione e della crudeltà.
Il 52enne viveva a Cervia, in Romagna. Quel giorno è partito da lì diretto a Milano, deciso – secondo l’accusa – a uccidere la 29enne. Dopo il fermo, non ha mai risposto alle domande dei magistrati. La difesa aveva presentato un’istanza al Riesame contro la custodia cautelare, poi ritirata per ottenere solo l’accesso agli atti.
Un quadro che per gli inquirenti è ormai definito: nessuna esplosione di rabbia, ma un assassinio pensato, organizzato, e portato a termine con ferocia.