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22/10/2025 18:49
Si tornerà in aula il 5 di novembre per la sentenza d’appello di Alessia Pifferi, la donna condannata all’ergastolo per aver lasciato morire di stenti la figlia Diana, di appena 18 mesi, nell’estate del 2022 nel suo appartamento nel quartiere Ponte Lambro, a Milano.
Al centro del processo d’appello di mercoledì 22 ottobre, ancora la perizia psichiatrica che ha certificato la piena capacità di intendere e di volere della 40enne, con l’analisi del perito nominato dal Tribunale, il dottor Elvezio Pirfo, che le aveva diagnosticato una sindrome di “analfabetismo emotivo”. Durante il corso della mattinata ha parlato la criminologa Roberta Bruzzone, consulente della madre e della sorella dell’imputata. In aula ha tracciato il ritratto di una donna “bugiarda, lucida e centrata solo su sé stessa”.
“Non è un problema di intelligenza – ha spiegato – ma di personalità. È una persona che usa gli altri per soddisfare i propri bisogni, capace di mentire e manipolare anche davanti alla tragedia.”
Secondo Bruzzone, mentre la bambina moriva di fame e sete, Alessia Pifferi usciva di casa con una valigia piena di abiti da sera, lasciando alla piccola pochissima acqua e cibo. Al ritorno, avrebbe cercato di costruirsi un alibi e di scaricare la colpa sul compagno.

Diversa la linea della difesa, che parla invece di deficit cognitivo - accostato al basso rendimento scolastico e alla necessità di ricorrere all’insegnante di sostegno da piccola - e di una gravidanza negata, definita dai propri consulenti “un meccanismo psicotico” che avrebbe compromesso la capacità di comprendere le proprie azioni.